Caspar David Friedrich (Greifswald 1774 – Dresda 1840), Der Wanderer über dem Nebelmeer, Viandante sul mare di nebbia, 1818, Olio su tela, 95 x 75 cm, Kunsthalle, Hamburg. Si avverte immediatamente la poetica del sublime, nel senso di una natura immensa e potente, cardine del sentire romantico. Viene così ritratto di spalle un uomo, il viandante solitario, la cui posizione evoca la sua parte inconscia. Il mare di nebbia copre un intero paesaggio montagnoso che immaginiamo oggetto della contemplazione del viandante che Friedrich ci obbliga ad osservare, come lui, di spalle. E’ un invito ad interiorizzare il mondo. Che la Natura ci sia intima!
Un giorno ventoso e pieno di luce salimmo sul crinale del nostro Appennino, alla sella del Valoria e lì, proprio lì, convinsi mia moglie a fotografarmi di spalle mentre il mio sguardo senza palpebre vagava nell’Oltre. Aggiunsi che, al momento dello scatto, doveva immaginare di ritrarmi come il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich. Iniziai a darle consigli: – Spostati più a destra, no, un po’ meno a destra; non stare in piedi, chinati, rispetta la prospettiva dal basso verso l’alto, chinati di più, anzi, inginocchiati, poi…
Fu allora che mi mandò a cagare.
Post scriptum. Scrivendo questa storiella proprio oggi (primo marzo 2018) sul mio ‘smartofono’, il maledetto T9 (“prova ontologica dell’esistenza del diavolo”, come afferma l’amico poeta Mauro De Maria, paleoinformatico come me) mi cambia ‘cagare’ con ‘vagare’. E’ la prima volta – mirabile visu – che il T9 mi offre un felice ‘Punkt Verwandlung’ (punto di svolta, viraggio); in quel giorno ventoso e pieno di luce era la vaghezza – in senso leopardiano, s’intende – a cui anelavo.
prof. Lanzi