Il 15 gennaio in un hotel di Londra è stata trovata morta Dolores O’Riordan, storica cantante dei The Cranberries. Sebbene le circostanze non siano state ben chiarite dai media, a 46 anni, la depressione che nelle ultime settimane l’aveva attanagliata sembra non lasciare alcun dubbio sulle cause della morte: suicidio.
La nota cantante, dalla voce dura e particolare, ha segnato i gusti musicali di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, e il fatto che gli ascolti dei pezzi più storici de The Cranberries ora siano aumentati del 1000% ce lo fa intendere molto bene. Quanto è giusto però ricordarsi di una band solo in circostanze di questo tipo?
Sembrerebbe essere un rito di passaggio per tutti gli artisti che ci lasciano, quello di ricevere un ultimo saluto da parte del pubblico, per cui sentiamo risuonare i loro pezzi in tutto il mondo. Qualcuno ci scherza su, ad esempio una nota pagina di “meme” scrive su twitter: “Tutto il giorno i Cranberries alla radio… Io spero non muoia mai Vasco perché non ce la farei.”
Nel mio piccolo invece si innesca una riflessione: davvero tutti gli artisti che vengono a mancare meritano un tale tributo? Perché spetta alla morte concederci la fama, e a nessuno interessa di gratificare il nostro lavoro quando possiamo ancora beneficiarne?
Esistono casi come James Dean, Jim Morrison, John Belushi, Amy Winehouse, Whitney Houston, Kurt Cobain, dove la fama arriva in vita, e quando arriva esplode con tale potenza da spazzare via tutto quello che c’era prima; è questo che molto spesso li uccide.
Esistono anche casi però dove il piccolo talento di alcune persone viene celebrato proprio perché sopraggiunge la morte. E’ il caso di Aaliyah, bellissima quanto mediocre cantante che ha esordito nella metà degli anni ’90, quando ancora aveva 14 anni. È morta nel 2001 a soli 22 anni, in un incidente aereo che ha portato via anche le vite degli altri 7 che l’avevano seguita alle Bahamas per registrare il videoclip di quello che è poi stato il suo ultimo singolo, Rock The Boat. Come facile da immaginare, gli ascolti che questo singolo ha registrato sono stati da record: probabilmente non sarebbero stati raggiunti nemmeno in tutta la sua potenziale carriera, né tanto meno Aaliyah avrebbe vinto tutti i premi che sono seguiti. Se il destino per lei avesse deciso diversamente, forse il suo album non sarebbe riuscito a fare breccia nei cuori di così tante persone, perché, come lei stessa aveva dichiarato poco prima della morte, non era meritevole come gli altri due.
Il concetto di fama è molto complesso, e questa ne è l’ennesima prova. Ma è la popolarità il metro con cui è giusto misurare il valore di una persona? Non si può ricordare un cantante senza per forza celebrarne il piccolo talento come immenso e ineguagliabile, quando è chiaramente il contrario?
Sono convinta si possa ricordare Aaliyah come la dolce ragazza quale era, e lasciare a icone come Whitney Houston i discorsi sulla incontenibile luce che sapeva emanare con la voce, perché questo non toglierebbe ad Aaliyah il valore che aveva in quanto essere umano. Così come non bisognerebbe negarlo a nessuna delle persone che ogni giorno muoiono sulla terra, magari in un angolo ghiacciato delle strade di una grande città, o sotto i bombardamenti in Siria, o in Africa a causa dell’epidemie o della fame.
Zantei Giorgia