Un buon pittore, dentro, è pieno di figure
(Albrecht Dürer)
Il verum
Dopo l’incontro con l’arte rinascimentale italiana, i paesaggi ad acquerello non costituiscono per Dürer esclusivamente l’accurata registrazione di una situazione topografica; l’interesse dell’artista è rivolto al gioco dei colori e alle variazioni di questi al mutare della luce. Uno dei fogli più importanti in questo senso è (immagine a sinistra) lo Stagno in un bosco (o Lago circondato da alberi di pino) del 1496 circa, conservato al British Museum di Londra, dove la superficie del piccolo bacino d’acqua appare nero-violacea e presenta una corrispondenza cromatica con le nuvole scure, tra le quali la luce del sole che tramonta risplende in toni di giallo e arancio e colora di un verde brillante le piante sul bordo dello stagno.
Ancora più evidente è il modo in cui la luce si trasforma (immagine a destra) nei Mulini su un fiume, acquerello in grosso formato del 1506, custodito presso la Biblioteca Nazionale a Parigi. La luce del tramonto dopo un temporale dà ai tetti degli edifici un colore grigio argento e bruno e la filigrana scura del ponticello bagnato sembra che goccioli ancora della pioggia del temporale appena cessato. La chioma dell’enorme tiglio riluce di un verde intenso e allo stesso tempo viene modellata dal contrasto fra le zone di luce gialla tendente al bianco e le orme profonde e quasi nere. Il gioco cromatico del sole, all’alba o al tramonto, contro le nuvole scure hanno in Dürer effetti cromatici da impressionista del XIX secolo.
Dürer ha un rapporto di osservazione davvero speciale (potremmo dire ‘scientifico’ e, allo stesso tempo ‘religioso’) nei riguardi della natura e degli esseri viventi che la popolano. Ritrae piante e animali con meticolosità enciclopedica, cura speciale del dettaglio (vocazione ereditata dall’arte orafa paterna e dalla pittura fiamminga) e spirito contemplativo.
A sinistra, La grande zolla d’erba, Acquerello, 1503, 41x 32 cm, Albertina, Vienna. È questo il più famoso studio di piante di Dürer: l’acuta precisione del disegno fa assumere dimensioni gigantesche agli esili fili d’erba. A destra, Ala di uccellino, Acquerello, 1512. I colori ottenuti sono straordinari.
Nell’occhio destro del leprotto, particolare davvero sorprendente, si rispecchia la stanza in cui si trova l’artista.
Il bonum
I quattro apostoli, 1526, Olio su tavola, Alte Pinakothek, München
Secondo lo storico dell’arte Erwin Panowsky (Hannover, 1892 – Princeton, 1968), Dürer rappresenta le virtù religiose a cui sottostanno i quattro temperamenti umani: sanguigno (purezza di fede di San Giovanni, figura intera a sinistra); flemmatico (fede vissuta e meditata di San Pietro, figura a fianco di San Giovanni); melanconico (fede ascetica di San Paolo, figura intera a destra); collerico (forza e intensità di fede di San Marco, figura a fianco di San Paolo).
San Giovanni, giovane di complessione rubiconda, rappresenta la disposizione sanguigna, nella perfetta purezza di fede; San Pietro, anziano, pallido e stanco, con gli occhi abbassati, rappresenta il flemmatico, dalla fede profondamente vissuta e meditata. San Marco, dalla faccia leonina, ha la pelle scura e verdastra, “del colore della bile”; i denti digrignanti e gli occhi roteanti lo caratterizzano come il collerico. Esprime la forza, l’intensità della fede.
San Paolo, con il volto fosco (espressione della bile nera che provoca la melancolia) è un uomo maturo, dispotico e austero. Esprime una fede ascetica.
Il pulchrum
Che cosa sia la bellezza io non lo so.
Non ne esiste una che sia tale da non essere
suscettibile di ulteriore perfezionamento.
Solo Dio ha questa sapienza.
(Albrecht Dürer)
Cristo dodicenne tra i dottori è un dipinto a olio su tavola di pioppo (65×80 cm) di Albrecht Dürer, datato 1506. L’opera fece parte, fino al 1934, delle raccolte Barberini a Roma; poi fu conservata nel Museo Thyssen-Bornemisza (prima a Lugano, ove l’ammirai in più occasioni), oggi a Madrid. L’opera contiene il monogramma di Dürer e l’iscrizione Opus Quinque Dierum (fatto in cinque giorni), sul foglietto che esce dal tomo in basso a sinistra. Il quadro risale al secondo soggiorno dell’artista a Venezia e venne eseguito a tempo di record mentre lavorava alla pala della Festa del Rosario. Anche una lettera all’amico Pirckheimer conferma l’esecuzione di una tavola “come non ne avevo mai fatte prima”. La tecnica usata è coerente infatti alla rapidissima esecuzione: al posto del modus operandi meticoloso, l’artista dipinse l’opera di getto, dopo un’accurata preparazione, usando un sottile strato di pittura, steso con pennellate ampie e fluide. Il soggetto era stato già trattato da Dürer in una delle xilografie della Vita della Vergine e anche in una delle tavolette del Polittico dei Sette Dolori. Rispetto a questi precedenti l’artista usò però una composizione del tutto nuova, con i personaggi che occupano tutta la scena accerchiando il giovane Gesù senza lasciare altro che qualche piccolo spazio per lo sfondo scuro. I sei dottori attorno a Cristo, che disputano sulle verità religiose nel Tempio di Gerusalemme, si stagliano quasi fluttuando, senza riferimenti spaziali precisi. Nessuno dei personaggi guarda verso un altro: gli sguardi non si incrociano, come succede durante una discussione, per attirare l’attenzione dell’altro con cui si dibatte; non c’è accordo, non c’è incontro, non c’è mediazione. Forse per questo Gesù ha il volto assorto e tristanzuolo, come se non ascoltasse, mentre le sue mani sono molto espressive. Più originali sono le fisionomie degli altri personaggi, i vecchi sapienti, una vera e propria galleria di fisionomie, talvolta venate da un livore maligno o atteggiamenti inquisitori, con il ricorso a pesanti tomi, aperti quasi con arroganza, nel tentativo di dimostrare i propri assiomi. Il personaggio a destra di Gesù è una vera e propria caricatura, che riprende gli studi di Leonardo da Vinci, che forse Dürer aveva visto in copia. L’uomo in basso a sinistra ha attaccato sul berretto un cartellino con versi in ebraico, come facevano i farisei. Il centro del dipinto è occupato dal vortice di mani che sembrano trasferire la disputa dalla voce al gesto, con le dita del personaggio più mostruoso che arrivano a toccare quasi, come in una sfida, quelle di Gesù. Le dita del giovane Gesù sono sinuose e aggraziate mentre quelle del vecchio sono scomposte, artritiche e grigio-cadavericche. Di fronte alle mani che esprimono rigidità e durezza di cuore, le mani di Cristo rimandano al fare salvifico: Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Matteo 7,21); in questo fare la volontà del Padre (aderire con la carità dei gesti al disegno di salvezza per l’umanità) riposa la Bellezza di Cristo che è la via, la verità e la vita (Giovanni 14,6).
Conclusione
La prima incisione a sinistra è uno studio preparatorio per le mani del personaggio in basso a sinistra nell’opera Cristo dodicenne tra i dottori. Forse si potrebbero considerare mani alla ricerca del verum (il vecchio dottore della Legge è l’unico che guarda Gesù); della incisione centrale per le mani del Cristo dodicenne si è già detto: indicano la via della Grazia e della Bellezza. L’incisione a destra, Mani in preghiera, 1508, è legata ad una vicenda personale. Verso il 1490 Albrecht Dürer e l’amico Franz Knigstein erano impegnati a diventare artisti, ma non avevano sufficienti mezzi economici. Decisero che avrebbero tirato a sorte: il perdente avrebbe lavorato per mantenere gli studi dell’altro. Knigstein perse ed accettò di buon grado di lavorare duramente per favorire la carriera artistica di Dürer. La scommessa prevedeva pure che se il vincente fosse diventato un famoso artista avrebbe cercato di aiutare l’amico. Anni dopo, all’apice della fama, Dürer mantenne la promessa e tornò dall’amico. Costernato, Albrecht scoprì che le mani di Franz, obbligato a pesanti lavori manuali, si erano rovinate per sempre. Senza avvertirlo, Albrecht tornò un’altra volta a trovare l’amico e lo vide in preghiera; pregava per il successo di Dürer. Così nacque Mani in preghiera, capolavoro sulla via del bonum, desiderare il bene dell’amico.
Prof. Luigi Lanzi