L’arte di fronte alla fede: ALBRECHT DÜRER

ALBRECHT DÜRER
(Norimberga, 1471 – 1528)

Albrecht Dürer, terzo di otto figli, nacque a Norimberga il 21 maggio 1471 dall’omonimo padre (di origini ungheresi, si era trasferito a ventotto anni in Germania e nelle Fiandre per completare la sua formazione di orefice incisore) e da Barbara Holper. Il giovane Albrecht, fin da ragazzo, mostrò talento nel disegno, entrando nella bottega del padre ove iniziò a far esperienza con le tecniche di incisione dei metalli che lo resero poi esperto nei suoi famosi lavori a bulino (uso di scalpello con punta d’acciaio per l’incisione su lastra di rame) e acquaforte (complessa tecnica calcografica consistente nel corrodere una lastra di zinco o rame con un acido per ricavarne immagini da trasporre su carta). A sedici anni scelse di intraprendere la carriera di pittore e andò a bottega presso Michael Wolgemut. Finito l’apprendistato Dürer viaggiò per quattro anni dal 1490 al 1494 in Europa (Colonia, Haarlem, Colmar, Basilea, Strasburgo) e rientrò a Norimberga in occasione della Pentecoste del 1494 per sposare, secondo il volere del padre, Agnes Frey. La coppia non ebbe figli e il matrimonio fu infelice, anche perché Dürer sentiva l’esigenza di viaggiare e conoscere. Fece due viaggi a Venezia (1494-5 e 1505-1507) ove conobbe (e amò profondamente) l’arte rinascimentale italiana (Mantegna, Bellini e Carpaccio). Che cosa sia la bellezza io non lo so. (…) Non ne esiste una che sia tale da non essere suscettibile di ulteriore perfezionamento. Solo Dio ha questa sapienza. Nel corso del suo ultimo viaggio nei Paesi Bassi, l’artista fu colpito dalla malaria che non l’abbandonò più. Come scrive Enzo Di Martino (Albrecht Dürer, La modernità e il mistero, articolo in rete), “gli aspetti più inquietanti ed affascinanti della sua complessa personalità appaiono oggi – soprattutto nella sua opera incisa – in una luce affatto diversa che illumina l’opera di un artista di straordinaria statura immaginativa e dai contorni conturbanti che si collocano tra la scienza e l’alchimia, la riflessione sull’irrisolto mistero dei destini dell’uomo ed una sorprendente ed inquieta modernità dell’atteggiamento intellettuale. Morì nella sua Norimberga il 6 aprile del 1528 lasciando, oltre la sua opera pittorica ed incisoria, anche un trattato sulla teoria della proporzione umana che venne pubblicato sei mesi dopo la sua scomparsa. Volle egli stesso che sulla sua tomba fosse scritto, quasi come una illuminante rivelazione per i posteri: QUANTO DI MORTALE VI FU IN ALBRECHT DÜRER Ė COPERTO DA QUESTA PIETRA”.

 

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Autoritratto con fiore d’eringio, Olio su pergamena trasportata su tela, 57 x 45 cm, 1493, Museo del Louvre di Parigi. L’opera è il primo autoritratto come opera autonoma in pittura della storia dell’arte occidentale. L’opera venne dipinta all’età di 22 anni, mentre l’artista si trovava a Basilea (o a Strasburgo). Il giovane artista si ritrae a mezza figura di tre quarti, voltato a destra e con lo sguardo rivolto allo spettatore. Si mostra in abiti alla moda di color ardesia, con cui creano un contrasto simulante il bordo rosso chiaro del berretto. Il volto è pallido, incorniciato da morbide ciocche di capelli biondi, le labbra carnose, la barbetta rada. La data 1493 è presente sulla scritta in alto, dove si legge anche il motto “MYSACH DIE GAT / ALS ES OBEN SCHTAT” (“Le cose mi vanno come è disposto Lassù”). Alcuni hanno messo in relazione l’opera con il fidanzamento con Agnes Frey, come potrebbe far pensare il fiore d’eringio, che tra i molti significati simbolici ha anche quello di fedeltà e felicità coniugale. Secondo altre interpretazioni invece il fiore rimanderebbe a significati religiosi (sulla via del bonum), con riferimento alla Provvidenza, come farebbe pensare anche l’iscrizione.

 

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Autoritratto con guanti, Olio su tavola, 52 x 41 cm, 1498, Museo del Prado, Madrid. L’opera è siglata e contiene l’iscrizione “Das malt ich nach meiner gestalt / Ich war sex und zwenzig Jor alt / Albrecht Dürer” (Ho dipinto secondo le mie sembianze quando avevo ventisei anni. Albrecht Dürer). L’artista si ritrae a mezza figura di tre quarti, voltato a destra e con lo sguardo rivolto allo spettatore. Lo sfondo è una stanza scura in cui si apre, a destra, una finestra che mostra un lontano paesaggio, dipinto alla maniera fiamminga. Rispetto al precedente autoritratto del Louvre, Dürer si mostra ormai come un gentiluomo raffinato, la cui eleganza nel vestire riflette una nuova consapevolezza di appartenere a una sorta di ‘”aristocrazia del pensiero” (sulla via del verum), come gli artisti-umanisti che aveva visto nel suo primo viaggio a Venezia (1494-1495). Gli artisti in Italia godevano infatti di una posizione sociale più elevata che in Germania, interloquendo strettamente con aristocratici e intellettuali, mentre al nord delle Alpi erano ancora legati al concetto medievale di artista-artigiano. Lo stesso Dürer annotò con una certa amarezza in una lettera all’amico Pirckheimer, all’epoca del secondo viaggio a Venezia (1506), come lì fosse “un gentiluomo, mentre a casa un parassita”. Estremamente curata è l’acconciatura, con i fitti ricci biondi e lunghi, la barba definita con precisione e i vestiti scelti con cura, che lo dipingono come un giovane colto ed elegante, degno partecipe delle classi sociali più elevate. L’espressione è fiera, ma non altezzosa, con una posa solenne ma umana.

 

Autoritratto con pelliccia, Olio su tavola, 67 x 49 cm, 1500, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera.220px-durer_selfporitrait

Dürer si ritrae nei panni di Cristo (sulla via del pulchrum), con un volto particolarmente espressivo e magnetico, con un’espressione serena e imperturbabile, incorniciato da una cascata simmetrica di lunghi capelli ricci. Indossa un elegante manto, bordato di pelliccia, che esalta l’elevato status sociale raggiunto dall’artista. Nell’Autoritratto con pelliccia, Dürer adotta una posizione frontale, secondo uno schema di costruzione utilizzato nel Medioevo per l’immagine di Cristo. In questo senso egli si riferisce alle parole della creazione nell’Antico Testamento, ovvero che Dio creò l’uomo a propria somiglianza. Tale idea era stata affrontata in particolare dai neoplatonici fiorentini vicini a Marsilio Ficino e non veniva riferita solo all’apparenza esteriore, ma anche riconosciuta nelle capacità creative dell’uomo. A sottolineare quest’analogia tra il pittore e Cristo c’è anche la ieraticità e la semplificazione dei volumi, caratteristica delle icone bizantine, o la posizione della mano, splendidamente descritta, che ricorda il tradizionale gesto benedicente del Salvatore. Inoltre Dürer pose accanto al proprio ritratto un’iscrizione in latino (ALBERTUS DURERUS NORICUS/IPSUM ME PROPRIJS SIC EFFIN|GEBAM COLORIBUS AETATIS/ANNO XXVIII, Io Albrecht Dürer di Norimberga, all’età di ventotto anni, con colori appropriati (alcuni traducono eterni) ho creato me stesso a mia immagine. Con intenzione qui è stato scelto il termine ‘creato’ piuttosto che ‘dipinto’. Nel suo profondo senso religioso, Dürer scrisse infatti che la capacità dell’artista partecipa da vicino al potere creativo divino, essendo investito del suo talento da Dio stesso. L’Autoritratto del 1500 non nasce però come un atto di presunzione, bensì indica la considerazione che gli artisti europei di quel tempo avevano di sé stessi.

Prof. Luigi Lanzi

 

 

 

 

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