Era appena entrata in classe, camminava tra i banchi, quando ad un certo punto notò il bambino biondo con il foglio colorato di nero appoggiato su un angolo del ripiano.
“Se per caso ne avessi bisogno, io ho una matita bianca.”
E poi, senza aspettare una risposta, raggiunse con calma il suo posto.
Finalmente libero da quella trappola chiamata “Casa”, Jack continuò a correre il più lontano possibile dalla sua strada, con la marionetta tra le braccia, lanciandosi indietro occhiate furtive, nel caso qualcuno lo stesse seguendo.
Non l’avesse mai fatto.
Ironia della sorte, fuggito da un incubo ed incappato in un altro, andò a sbattere contro M., proprio mentre sbirciava M.era più grande, M. era temuto, M. se ne andava in giro con i suoi fedelissimi scagnozzi al seguito; dove c’era una rissa di certo l’istigatore e, purtroppo, il vincitore, era la M. & Co, specializzata in occhi neri ed ossa rotte, prodotti di origine certificata e ovviamente fatti a mano. Tanto per puntualizzare, gli altri membri erano un certo H., un P. e un G. .
E nonostante M. avesse ormai già lasciato la scuola da un pezzo, tra note ed espulsioni, e facesse persino fatica a leggere le più semplici favole per bambini, aveva una formidabile memoria per vittime e debitori.
-Oh, guarda chi si rivede, il piccolo Jack, quanto è piccolo il mondo? Ma che cos’è quel musetto, l’uccellino è di nuovo scappato dal nido? Fortuna che in giro c’è ancora qualche benefattore, altrimenti chi l’avrebbe aiutato a trovare la via del ritorno?
-Ehm…. stavo solo facendo un giro…
-Di corsa? Ma… ripensandoci… guardando dall’alto è tutto così confuso, facile perdersi… forse con un’ala in meno l’uccellino se ne starà per terra, senza perdersi nessun ramo e appiglio.
– Dall’alto si vede benissimo, grazie.
– …
H. – Ma insomma M., non gliela passerai così, ‘sto bimbo è così sfigato che manco può correre dalla mamma, casomai ci scappa! E poi a girare sempre con quel maledetto pupazzo, io un’idea ce l’avrei su che fine fargli fare, ma tanto la tua sarà migliore…
Però se non ti dai una mossa lo sistemo io!
E probabilmente fu a questo punto che qualcosa dentro a M. si smosse, forse scatenato dall’oltraggio di quel comando impertinente da chi avrebbe dovuto spalleggiarlo, o semplicemente per l’aver realizzato che in fondo quel maledetto burattino lo odiava anche lui, come d’altronde lo odiavano tutti.
-Vediamo cosa farai senza la tua preziosa bambolina!
M. si slanciò in avanti pronto ad afferrare quell’aggeggio e a staccargli la testa, per poi lanciare il corpo legnoso da una parte ed intascarsi invece il capo, ma accadde qualcosa che mai avrebbe potuto lontanamente immaginare.
Jack opponeva resistenza, il volto contratto per lo sforzo, e cavolo, non mollava! Non poteva allentare la presa, non poteva, non poteva e non poteva. Ma la marionetta gli sfuggì comunque di mano, accasciandosi tra le braccia del bambino.
Si stava preparando a sferrargli un pugno dritto sul muso quando G. gli toccò una spalla.
-M., M., ascoltam…
-Cosa c’è?!
-La mano. Ti sanguina. Guarda… ma non ti fà male? E’ pur sempre un bel taglio…
Confuso M. alzò il braccio, lanciando un’imprecazione non appena vide lo squarcio obliquo e il sangue che continuava a colare. Ma come era possibile? Tutto ad un tratto arrivò il dolore, come una scarica che gli risalì tutto il braccio fin sopra il gomito, e un bruciore acre che gli avvolgeva il palmo.
Sembrava quasi che l’avesse sentito solo dopo essersi accorto della ferita… ma no, era impossibile… probabilmente prima era solo troppo arrabbiato per farci caso…
Indietreggiò reggendosi l’arto infortunato, inforcò la bicicletta e chiamò gli altri a gran voce.
-E tu… non pensare che sia finita qui… la prossima volta che ti becco, non mi importa dove, non mi importa quando, te ne do talmente tante che a casa ci torni strisciando… sempre che tu ci voglia tornare…
Andiamo.
Apparentemente Lola si stava fissando le scarpe da ginnastica sudice da dieci minuti buoni, quando in realtà aspettava solo il momento giusto per sgraffignare dalla spazzatura quella scatolina che qualcuno si era divertito a chiamare “macchina fotografica usa-e-getta”, che quella cretina di Gretel aveva buttato, credendola rotta.
Sperava di non sbagliarsi, ma molto probabilmente l’oca con le trecce bionde, sempre per le sue maniere gentili e la sua interminabile pazienza, aveva semplicemente inceppato il pulsante per scattare la foto, e per ripararla le sarebbe servito solo il minimo sforzo.
Ecco, nessuno guardava, tanti erano usciti, Lola passò indisturbata di fianco al cestino e agguantò l’aggeggio solo allungando una mano.
Se ne andò chiedendosi perché fosse bloccata in quella scuola di completi idioti.
Che bel pensiero poetico! Ma d’altronde era queste le idee che spesso le passavano per la testa. Lola che spaventa i piccioni, Lola che a fine anno brucia i libri di testo di nascosto, Lola che per sfuggire dai guai sale su un albero come i gatti.
Lei le chiamava “le sue avventure”, in modo simpatico, che animavano i suoi pomeriggi e venivano accusate di essere grande distrazione da qualsiasi opportunità o esperienza costruttiva che casualmente calpestava… ma alla fine le bastava quel suo piccolo universo.
Quello che gli era accaduto il giorno prima aveva del miracoloso. Lui che faceva scappare M… ma probabilmente era solo opera del suo burattino. Non capiva fino in fondo come fosse apparso quello squarcio sul palmo del suo aggressore, alla fine l’importante era che fosse successo, ma aveva comunque un’idea, per quanto a tutti gli Altri sarebbe apparsa ridicola ed inspiegabile.
In ogni caso, gli Altri, per Jack, erano tutti coloro che non fossero la sua mamma, la signora che portava loro la spesa e, a molti potrebbe sembrare ovvio, sé stesso.
Ma in fondo di quest’ultimo non era più così sicuro, anzi, non era nemmeno sicuro del fatto che lo fosse mai stato.
Sentì dei passi avvicinarsi ma, speranzoso che lui non fosse coinvolto, decise di starsene girato, seduto sul muretto.
Stava cercando di fare il più silenziosamente possibile, voleva che il suo arrivo fosse una sorpresa. E, a giudicare dal totale disinteressamento da parte del compagno di classe, credeva di essere riuscita discretamente nel suo intento.
-Ciao Jack, posso mettermi qui accanto? Ho visto che ultimamente sei sempre da solo, non vieni nemmeno più a sederti con noi… volevo farti un po’ di compagnia, anche perché non conosco così tante persone… (In realtà, sebbene Vì fosse arrivata solo da poche settimane, si era infiltrata egregiamente in più gruppetti di quelli in cui un normale bambino entra a far parte in tutta la sua infanzia. Ma questo comunque non ci importa.).
-Sì, vieni pure, se proprio vuoi… lo sai che gli altri ti potrebbero tagliare fuori se ti vedessero per troppo tempo con me? E poi, se ti annoi, puoi sempre andartene, tanto me la cavo anche da solo…
-Guarda che io non mi accontento del “contento tu, contenti tutti”, lo so che in fondo in fondo qualcuno ti manca. La folla certo può dare fastidio, ma non riuscirai a sbarazzarti così facilmente di me. E questa è una promessa.
Lola se ne stava lì per strada, soddisfatta, cercando un soggetto degno della sua prima fotografia, quando si sentì tirare il cappuccio da dietro la schiena.
Gretel. L’oca con le trecce bionde era tornata.
Ma ripensandoci, questo “simpatico nomignolo” era una questione assolutamente personale, una piccola vendetta privata che Lola non si sarebbe mai stancata di mettere in atto.
Infatti Gretel si era conquistata una certa fama tra i loro coetanei, e gran parte di questo suo posto di rilievo era dovuta alla sua imprevedibilità, che lei sfruttava efficacemente per suscitare timore o ammirazione, comportandosi da ribelle o da piccolo pulcino indifeso a suo piacimento. Inoltre Gretel otteneva continuamente protezione dai genitori, in qualunque situazione, riceveva regali di cui si stancava dopo pochi giorni, ma che diventavano di vitale importanza, se ad un certo punto gli altri bambini cominciavano ad interessarsene.
E la storia della macchinetta aveva preso la stessa piega; troppa insofferenza, pessimo modo di fare, strabiliante impazienza, ed eccola in cima alla pila dei rifiuti cestinati.
E ora era tornata a reclamare quel maledetto aggeggio!
Il suo esordio non fu di certo uno dei più spettacolari, ma il concetto era comunque ben chiaro.
-Ridammi immediatamente la macchina fotografica. E’ mia. E tu me l’hai rubata.
-Non l’ho rubata, l’ho pescata dalla spazzatura, dove tu l’avevi buttata credendola rotta, quando in realtà è tutta colpa delle tue maniere da scaricatore di porto!
-Ma infatti era rotta. Se poi tu ne conosci una più del diavolo sono affari tuoi. Resta comunque il fatto che sia mia.
-Rotta?! Di nuovo?! Si era solo incastrato il tasto, basta poco a farla funzionare di nuovo! E poi io l’ho riesumata. Io l’ho “riparata”, come ti piace credere, e quindi ha ufficialmente cambiato proprietario. E ora levati. Altrimenti potresti tornartene con le trecce molto meno folte.
-E ora che fai? Mi minacci? Bella storia…
-Era un avvertimento. Ma se non te ne vai sul serio ti tiro un calcio nello stomaco che resti piegata in due per mezz’ora. Questa era una minaccia. Ora conosci meglio la differenza.
-Ah sì? Bene, allora io ti sfido. Entro una settimana sgattaioli nella casa di quel biondino, Jack, e fai almeno qualche foto, se saranno credibili ti terrai la macchina usa-e-getta. Altrimenti è mia.
Lola si ritrovò a pensare… di certo sarebbe stata in grado di tenersela, ma il fatto di rinunciare ad una sfida era sempre vissuto come fonte di vergogna, come se già su di lei non girassero abbastanza voci…
-Va bene. Ma i patti sono ben chiari. Se te le porto quest’affare infernale sarà mio e perderai qualsiasi diritto di reclamo. Ci andrò.
Beatrice de Waal, 2^D (Parte 2 di 3)