Riflessione su Auschwitz – 14/04/2017 – venerdi santo

Auschwitz non è il Male, ma una manifestazione del Male, dal punto di vista quantitativo, temporale e morale sicuramente tra le più efferate della storia. Per Auschwitz non devono essere usate le parole. La domanda di H.Jonas circa l’impossibilità del credente, dopo Auschwitz, di credere ad un Dio che agisce nella storia è una domanda vera e sensata, che chiude definitivamente il conto con ogni tentativo di chiamare in causa un Dio sul teatro delle vicende umane. Se per l’uomo è possibile la libertà, occorre un Dio che non agisca nella storia. La stessa domanda fa però ricadere sull’uomo tutto il peso della sua libertà: l’uomo è causa del male che fa, e non è soggetto ad alcuna permissione divina, né ad alcuna possibilità di un nascosto disegno di bene.

Quindi il male, come il bene, nasce dalla libertà dell’uomo che sceglie, conosce, opera, vuole.

Il male, come il bene, non ha sulla terra le dimensioni dell’assoluto. Esso non può che essere solo e soltanto relativo allo spazio e al tempo in cui si compie ed alle conseguenze che porta con sé. Auschwitz mi pone tre riflessioni:

1 come sia possibile arrivare a questa forma del male:

la distruzione pianificata degli altri in modo banalmente indifferente (H. Arendt) giustificata dall’ideologia, dalla paura di morire, dalla volontà di potenza, dal consenso che non pensa. Ma anche questo sembra non bastare di fronte all’enormità dei delitti. Deve esserci stato, anche tra gli autori del male, qualcuno che, pagando con la vita, abbia detto no; probabilmente la Storia non riesce a registrare tutte le voci del dissenso perché il sistema è stato in grado di fagocitarle con facilità. Ma in quella resistenza c’è speranza per l’umanità. Abbiamo bisogno di dissenso.

2 quale forma assuma il male dopo che è stato agito:

ciò che nasceva da una pianificazione precisa, da una documentazione meticolosa, da una architettura geometrica lascia oggi, come ieri, enormi cumuli disordinati di macerie, resti umani, oggetti, senza simmetria, senza precisione, senza armonia. In questi luoghi niente è bello, e la parola bellezza è assente in questi luoghi. Essa non si addice a niente. Questa assenza è veramente lancinante per cui riesce difficile ad una persona comune resistere oggi più di qualche ora all’interno dei campi. Ma in questa resa c’è speranza per l’umanità. Abbiamo bisogno di bellezza.

3 quale forza possa spingere al perdono: come si può arrivare al perdono, alla pietà, alla compassione nei confronti degli aguzzini?

Sinceramente questa posizione, praticata da alcuni “santi”, è per me estremamente difficile da comprendere, anche se sono convinto che sia una grande forza, forse la sola in grado di disarmare il male. Essa è provenuta sia da persone di fede ebraica, sia da persone di fede cattolica, sia da persone di fede protestante.

Qual è la forza che spinge al perdono all’interno del campo di sterminio?

Credo che coloro che sono riusciti a perdonare, l’abbiano fatto senza sottoporsi al raziocinio ma affidando questo gesto estremo al Bene che abitava in loro e di cui loro erano segno. Essi furono “cristici” e in quanto tali furono “santi”. Abbiamo bisogno di santità.

Dissenso della coscienza pensante, bellezza e santità  sono le condizioni affinché il male non prenda il sopravvento. Anche oggi. I teatri di sangue nel mondo sono alimentati dalla negazione del dissenso e dal culto del brutto. Anche sul piano individuale la memoria nulla può senza l’educazione della libertà e senza l’esposizione delle menti a ciò che è bello. In tal senso il male è condizione sempre presente nella libera volontà dell’uomo, volontà che può orientarsi al bene solo nell’educazione continua dello spirito.

Francesco Cattellani

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