Prima Legge: “Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che a causa del proprio mancato intervento un essere umano riceva danno”.
Seconda legge: “Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani purché tali ordini non contravvengano alla prima legge”.
Terza legge: “Un robot deve proteggere la propria esistenza purché questo non contrasti con la prima e la seconda legge”.
Queste le tre leggi che Asimov ha pubblicato nel lontano 1942 nel suo racconto “Circolo vizioso”. Asimov immaginava un mondo in cui umani e robot (o meglio nella definizione attuale umanoidi) convivevano seguendo queste regole.
Ma è uno scenario plausibile? Gli umanoidi entreranno a far parte della nostra quotidianità in breve tempo? C’è da temere, come qualcuno pensa, che ci toglieranno i posti di lavoro o che cominceranno a prendere decisioni autonome contro l’interesse degli umani?
Di questo, e tante altre cose interessanti, ha parlato il dott. Cingolani, direttore scientifico dell’istituto italiano di tecnologia (IIT) di Genova nella sua lettura il 19 aprile presso la sala dei filosofi all’università di Parma. All’IIT si occupano di robotica e in particolare dal 2003 stanno lavorando su iCub, il robot bambino che parla ed esprime le proprie emozioni.
Chi meglio del dottor Cingolani, quindi, poteva entrare nel vivo di un tale dibattito. Ma facciamo un passo alla volta.
Ogni macchina funziona per algoritmi: fa una determinata cosa perché da qualche parte nei suoi data base c’è scritto che deve fare così in quella situazione. Di fronte a un imprevisto può non sapere come comportarsi e perdere tempo alla ricerca di un comando ed entrare in loop. Questa è una prima importantissima differenza tra umani e umanoidi. I robot devono essere educati per lunghissimi tempi e se da una parte sono precisi e molto forti, dall’altra sono adatti solo alla routine.
Il loro scopo infatti deve essere quello di aiutare l’uomo in determinate mansioni: Icub per esempio verrà utilizzato per aiutare bambini affetti da autismo e lo sviluppo della sua mano ha permesso di creare una protesi neuromorfica per persone amputate che risponde agli stimoli cerebrali proprio come un arto vero. E la cosa strabiliante è che la mano è realizzata con la stampante 3D!
Ma allora, perché l’uomo ha paura del robot? Sostanzialmente perché non lo conosce. E ciò che non si conosce fa paura, mentre invece andrebbe studiato.
Per esempio, in pochi sanno che per essere veloce ed efficiente come il corpo umano, il robot dovrebbe avere a disposizione l’energia di una città e un computer grande come una stanza. Il problema del computer al momento viene aggirato tramite l’utilizzo di cloud che permettono ai 24 laboratori nel mondo che possiedono un iCub di lavorare opensource e di far apprendere ad ogni prototipo ciò che viene condiviso sul cloud. Con il rischio però che il sistema vada in tilt – pensiamo all’hackeraggio – se questo dovesse essere il modo di lavorare con un robot in un prossimo futuro.
Non va dimenticato che è l’uomo che regola e governa le azioni del robot. È quindi della stupidità umana che dovremmo avere paura, molto più che di una futuristica intelligenza artificiale che riesca a ragionare da sola.
Prof. Simona Scardova