Siamo una generazione bloccata dall’impossibile; una generazione di spettatori, che da dietro le finestre delle nostre case osserviamo con indifferenza un fenomeno epocale, che ci coinvolge in prima persona ma davanti al quale nessuno ha il coraggio di agire per trovare dei rimedi: stiamo parlando dell’immigrazione, questi flussi di persone che alla ricerca di un luogo dove ricominciare da zero sono costretti ad abbandonare la propria casa a causa di guerre o spinti dal bisogno di migliori condizioni di vita. I flussi migratori, provenienti soprattutto dai paesi attraversati da guerre o meno sviluppati e diretti verso i paesi più ricchi e sicuri, rappresentano un forte rischio: i viaggi infatti sono molto precari per questi uomini che sono disposti a pagare cifre esorbitanti per affrontare una traversata in barcone senza essere sicuri di arrivare a destinazione sani e salvi. Le condizioni igieniche, la fatica e le ore di viaggio sono fattori che tutti i migranti sono disposti a sopportare pur di trovare la salvezza. Possiamo quindi noi di fronte a una tematica così rilevante rimanere indifferenti? C’è certamente bisogno di fare qualcosa. A questo proposito, nella mattinata del giorno 25 febbraio 2017, le classi 1^B e 2^E del nostro liceo hanno partecipato alla conferenza tenutasi al cinema Astra di Parma per incontrare alcuni rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio: movimento di ispirazione cristiana guidato dal Vangelo e dal Papa, il cui obiettivo è quello di abbattere i “muri” sia materiali che invisibili che dividono la società per costruire invece “ponti” e creare una pace concreta. Bastano poche ma significative azioni per riuscirci; un esempio è appunto la Scuola della Pace, il doposcuola dove i volontari del Movimento dei Giovani per la Pace aiuta i bambini extracomunitari a fare i compiti e a farli sentire quindi accettati e integrati nella società. La comunità inoltre ha realizzato un importante progetto auto finanziario di accoglienza e integrazione (che è stato l’argomento chiave dell’incontro) : i “Corridoi Umanitari”. Lo scopo di esso è evitare i tragitti coi barconi nel Mediterraneo che hanno e stanno provocando un numero sempre più alto di vittime. È così quindi che la Comunità di Sant’Egidio lavora per organizzare viaggi in regola e quindi sicuri non solo per i profughi ma anche per coloro che li accolgono. Sergio Casali, rappresentante della comunità, nel suo discorso ci ricorda la seguente frase: “Un morto è una tragedia; un milione di morti è solo statistica”. Così ci fa notare l’importanza che hanno le singole storie e i singoli volti: informarsi con le testimonianze dei protagonisti stessi è il miglior modo per toccare con mano la realtà e perciò riuscire a trovare un “antidoto” che risvegli quella pietà umana che prevale sul rancore. Per questo diventa essenziale il racconto da parte di un rifugiato aiutato dalla comunità: è Samir Hanna, un ventottenne siriano che prima dello scoppio della guerra nel 2011 viveva felice con la sua famiglia a Damasco. Poi le bombe e l’assenza di lavoro stravolgono la sua vita, così nel 2015 inizia a valutare la possibilità di scappare seppur dovendo abbandonare tutto. Con numerose difficoltà riesce a sbarcare a Lesbo in Grecia e, dopo la visita del Papa, riesce ad arrivare a Roma in tutta sicurezza grazie a Sant’Egidio. Molti rifugiati siriani condividono con Samir la stessa storia che si conclude con un lieto fine grazie all’intervento della comunità, alla quale sono infinitamente grati. L’iniziativa del progetto è certamente paragonabile a una piccola goccia in un immenso mare, ma che dopo di essa non sarà più lo stesso (come ha detto il Papa). Tutti noi possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo: impegniamoci a contrastare la cultura che non vuole conoscere opponendoci al razzismo, la principale causa dei muri tra le persone. Il segreto non sarà forse aprire la finestra delle nostre case e provare a rompere le barriere dell’impossibile?
Cristina Princi , 2^E