7 febbraio: il MIUR lancia la campagna per la sicurezza in Rete e per un uso consapevole dei social
“Un Nodo Blu – le scuole unite contro il bullismo e il cyberbullismo”. L’iniziativa lanciata dal Ministero dell’Istruzione tocca un problema che riguarda tutti noi da vicino.
Una giornata per riflettere. Secondo l’ANSA 8 ragazzi su 10 considerano meno grave l’insulto sui social rispetto a quello nella vita reale. Ecco, questa giornata deve farci capire che non è così; deve farci pensare all’ennesimo ragazzo che decide quando tutto ciò possa bastare, sceglie di cessare l’attesa per la felicità, perché gli insulti non lo fanno più respirare.
Quando sentiamo la notizia di un ragazzo suicida a causa dei social, il sangue gela nelle vene.
Perché?
Perché insultare una persona? Perché da dietro uno schermo?
Perché i ragazzi si lasciano soffocare da questi insulti?
Il problema è la risonanza di un “insulto social”: non è una semplice parola detta durante una lite. Per fare un paragone con la vita reale è come se si decidesse di urlare insulti con un megafono in piazza Garibaldi, con la differenza che la loro diffusione è molto più tacita e l’ingiurioso molto meno esposto. Tutti sanno, ma nessuno ne è così coinvolto, nessuno decide di intervenire, se non si tratta della propria pagina Facebook. A quel punto non si può più scappare.
I social sono inevitabili; per nascondersi dalla virtual life non è sufficiente chiudere la finestra e disconnettere l’account, essa ha enormi ripercussioni sulla “real life”.
Castells chiama la nostra società “galassia internet”. La rete, luogo inesistente ma ovunque intorno a noi. Un tempo per scegliere un albergo si valutavano le comodità, ora la presenza della wi-fi; per prendere sonno si contavano le pecorelle, ora i contatti di whatsapp.
La rete ha anche effetti positivi come la creazione della blogosfera: con l’utilizzo dei blog ogni individuo è in grado di partecipare a una discussione pubblica, ma quanto si spingono oltre i limiti queste conversazioni? Di persona si tende a rispettare con fatica un’opinione diversa dalla propria; se si è camuffati dietro a un nickname, non c’è motivo di essere riguardosi di un’icona grigia.
La rete, spesso, non è un dolce aroma in cui siamo immersi, ma un occhio che ci sovrasta. Schiaccia la nostra creatività ai bisogni comuni, appiattiti dal cyber nel cyber. Probabilmente è proprio così che si sentono i ragazzi oggetto di insulti sui social. De Kerckhove, in un intervento al Convegno Nazionale “Professione Giornalista: Nuovi Media, Nuova Informazione”, descrive i social come una tomba da cui non si può fuggire, un pericolo per la libertà individuale.
Non è possibile dire se i social siano un bene o un male, è troppo presto. Raccapricciante è però la forza con cui riescono a boicottare la vendita di un prodotto così come la vita di una persona.
Il problema, in realtà, siamo noi, come dice Goleman nel libro Intelligenza ecologica: “una rivoluzione non nasce dall’introduzione di una nuova tecnologia, ma dalla conseguente adozione di nuovi comportamenti”.
Evitare i social è impossibile, ma occorre cercare di separare la vita reale da quella online, anche se diventerà sempre più difficile. Umanizzare gli account, focalizzare l’attenzione sulla persona, sulle persone che, dietro le identità digitali, soffrono, gioiscono, vivono.