La forza di sopravvivere a Mauthausen

 

Crudele è talvolta la mente umana. Concepisce progetti che sono paradossalmente disumani. La visita a MautIn fondo le SS erano persone umane anche loro, avevano una famiglia anche loro, come era possibile lasciassero i detenuti soffocare dentro quella stanza, soli e senza nome? In pochi secondi i prigionieri hanno visto la loro vita passahausen mi ha fatto capire questo: l’uomo è capace di qualsiasi cosa. È in grado di uccidere, o meglio sterminare, intere popolazioni per il loro diverso pensiero; è in grado di ridurre altri suoi simili all’annullamento e alla negazione della propria umanità; è in grado di percuotere a morte un suo compagno, di vederlo soffrire, ma di tornare a casa alla sera ed essere sereno, spensierato con la sua famiglia, lasciando il lavoro alle spalle.

Ma l’essere umano è capace anche di altro. Oggi ho avuto la possibilità di capire la sofferenza, ma anche la forza di vivere, la forza di sopravvivere con pochissimo cibo. Il menù settimanale comprendeva 210 grammi di carboidrati, 83 grammi di grassi e 243 grammi di carne. I detenuti image3sopravvivevano con piccole cose: avevano compreso l’essenza della vita. Anche un semplice gesto poteva cambiare la settimana. È il caso di un detenuto italiano: stava male, molto male. Durante il controllo mattutino, sull’attenti, si sentì improvvisamente un malore, come svenire. Due detenuti polacchi che si resero conto del suo stato lo sorressero da ambo i lati così che la guardia delle SS non se ne accorgesse. Oggi ci chiediamo cosa possa aver servito questo gesto, eppure fu quello che gli salvò la vita. Se fosse caduto, la guardia non avrebbe certo esitato a sparargli.

Da questa esperienza tutti acquisiamo una maggiore consapevolezza. Il viaggio della memoria non è solo un viaggio per ricordare. È un viaggio per cambiare. È impressionante vedere con i propri occhi una camera a gas e pensare che neanche ottanta anni fa lì dentro centinaia di persone vi morivano, tra urla e disperazione. L’istinto naturale di sopravvivenza costringeva gli uomini ad ammassarsi alla porta: e come cani, a grattare la vernice nella speranza che qualcosa cambiasse e che quelli fuori, che certamente sentivano, mossi da pietà aprissero quella porta.

e loro davanti, riaffiorare nella mente, dopo giorni di sofferenza, di fame e di non vita. I ricordi non sembrano nemmeno appartenere a loro; appartengono ad un’altra vita, a un’altra persona. Forse meglio morire, piuttosto che subire tali atrocità.

Il ricordo di questa atrocità non va dimenticato. Come è possibile dimenticare la violenza di quegli avvenimenti?

“Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare” (Se questo è un uomo, P. Levi)

Barbara Maracchini

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