Una grande occasione per far chiarezza sulle ragioni di merito più che sulle considerazioni politiche; così la definisce il prof Cardarelli, organizzatore, insieme ai rappresentanti d’Istituto, della conferenza di martedì 22 con il prof. D’Aloia, Ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Parma. Partecipano al dibattito per le ragioni del NO, Veronica Valenti, docente di Istituzioni di diritto Pubblico a Parma ed Edoardo Raffiotta, docente di Diritto Costituzionale a Bologna, per quelle del SI.
In apertura, Manuel Marsico, rappresentante degli studenti del Bertolucci, ricorda ai suoi compagni di IV e V presenti numerosi, questa frase:
“ La prima semplice ed essenziale verità che va ricordata a tutti i giovani è che se la politica non la faranno i giovani rimarrà appannaggio degli altri. Invece sono proprio loro, i giovani che hanno tutto l’interesse a costruire il loro futuro e, prima di tutto a garantire che un futuro ci sia” ( E Berlinguer).
Il professor D’Aloia ci spiega i dati tecnici della riforma: verrebbe toccata la seconda parte della costituzione, a iniziare dalla composizione del parlamento, il simbolo della democrazia costituzionale e di quei partiti ad oggi piuttosto in crisi. E quindi perché votiamo? Tutte le costituzioni, ci spiega, devono durare nel tempo ( quella degli Americani ha 230 anni, la nostra solo 70) ma hanno una parte di meccanismi procedurali che può risultare usurata. I principi della costituzione quelli no, non vengono toccati dalla riforma. C’è un articolo della costituzione che spiega che la forma repubblicana non può essere cambiata né i diritti fondamentali di cui essa è garante. La realtà della democrazia è nella imperfezione, perché frutto di un progetto aperto, che non può avere effetti immediati positivi o negativi: servono soggetti politici, leggi di attuazione, tempi tecnici…
Ed ecco uno dei temi caldi della riforma: oggi abbiamo due camere, deputati e senato, che fanno le stesse cose, con stessi poteri, il bicameralismo paritario. È un sistema quasi esclusivamente italiano, se si eccettua la Romania. Un sistema a cui nel nostro paese si arrivò con uno scontro molto forte, nel dibattito costituente, dopo vent’anni di dittatura fascista. I comunisti non volevano la seconda camera. I democristiani volevano una rappresentanza delle regioni che stavano per essere istituite. La proposta passò con nove voti si scarto. Il senato restò come organo alla pari della camera dei deputati.
La riforma vorrebbe trasformare questo governo in un bicameralismo differenziato, con una sola camera che dà fiducia o meno al governo. Il senato rappresenterà le autonomie territoriali, delle regioni e dei comuni (100 senatori : 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali + 5 che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica). I 95 senatori (tra consiglieri regionali e sindaci) saranno così partecipi in altra forma rispetto a prima.
Perché fare questo? È una scommessa, dall’esito non del tutto certo. L’idea è ridurre il conflitto tra stato e regioni, costringendoli a lavorare insieme. Come dire: lo stato si faccia subito carico dei problemi delle comunità locali, così come le comunità devono farsi carico del sistema generale, non solo del loro piccolo. Esperienze simili sono già in Germania, Austria, Spagna. Inoltre questo senato avrà un ruolo diverso nel processo legislativo: tolti alcuni casi, le leggi le farà la camera dei deputati. La nuova costituzione afferma che ogni legge approvata dalla camera può poi passare dal senato per un successivo esame. Ovviamente il senato dovrebbe però occuparsi soprattutto delle leggi che riguardano sistemi e comunità. Altro punto in esame: il referendum popolare abrogativo è ancora indetto quando lo richiedono 500.000 elettori, ma se la proposta di referendum è stata avanzata da 800.000 elettori il quorum si abbassa (la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni e non la maggioranza degli aventi diritto).
Nella seconda parte dell’incontro Veronica Valenti ed Edoardo Rafiotta espongono in un dibattito piuttosto sentito ma garbato le loro ragioni più specifiche: la prima l’idea che la riforma sembri pasticciata, poco curata, migliorabile, l’altro l’impellenza di cambiare un sistema che non garantisce governabilità e riforme.
Ci salutiamo con l’invito del prof. D’Aloia: andate a Votare con la gioia e partecipazione che ebbero le donne nel ‘46, al loro primo voto, come a una festa.
MB