“Islam è fondamentalismo. Islam è guerra. Islam è burqa.” E invece no. Certe associazioni, oggi più che mai, diventano troppo facili e di Islam ce ne sono tanti, come è variegato il pluralismo confessionale della religione cristiana. Giovedì 29 settembre al tavolo interreligioso di Parma, presso la sala conferenze della sede dei missionari saveriani, c’era Ataul Wasih Tariq, Imam della comunità ahmadiyya italiana.
Parla davanti ad una platea di oltre 80 studenti delle superiori della città:”Islam e le donne”, questo il tema, fino a spaziare alle vicende che segnano la nostra contemporaneità, come gli ultimi atti di violenza in nome di Allah.
E così scopriamo che la prima comunità ahmadiyya nasce in India nel marzo 1889, una minoranza nel vasto mondo delle confessioni islamiche, ma che proclamandosi tale ritrova un punto comune con tutte le altre: la fede in Maometto, il Messia. Il suo fondatore, Ḥażrat (“Eccellenza” in persiano) si presenta come un rinnovatore della religione inviato da Allah e atteso da numerose comunità islamiche, suscitando contrasti e talvolta rifiuti da parte di diverse correnti sunnite, per le quali la missione profetica si era già conclusa con Maometto. Usa parole nuove, fatte riemergere dal testo sacro, parole di pace e fratellanza. “Non c’è costrizione nella religione” (Corano, II:256), questo il suo motto, e ancora “Amore per tutti, odio per nessuno”.
Oggi queste parole potrebbero sembrare inconsuete. Soprattutto alla luce degli eventi degli ultimi mesi, anni. Eppure Ḥażrat è esistito e ha fondato la comunità ahmadiyya. Questa storia fa riflettere: talvolta siamo indotti da svariate cause a considerare le deviazioni fondamentaliste e perverse come la regola, semplicemente perché è l’immagine che si impone, che sovrasta tutto il resto, che copre con un velo oscuro, con le nere colonne di una prima pagina, tutto quanto c’è di buono. Ḥażrat ci dice, per fortuna, che c’è altro. Un altro Islam. O che è sempre esistito?
La comunità ahmadiyya è legata a una precisa lettura del testo sacro e molte delle sue pratiche o ideologie non sono altro – come dovrebbe essere per qualunque comunità islamica – che l’applicazione della lettera del Corano. Nel corso del dibattito, Tariq cita più volte il testo sacro e ci spiega il motivo: vuole offrire una lettura il più possibile comune e condivisibile da tutte le confessioni islamiche, volendo dimostrare come numerose posizioni ideologiche moderate sono, o dovrebbero essere, di tutto l’Islam.
È questo il caso della tolleranza religiosa predicata da Maometto: per un musulmano non ci sono differenze tra i vari messaggeri di Dio (II:285): crede nell’avvento per ogni comunità di un ammonitore di Dio (XXXV:24), mostra rispetto per qualunque fede e per qualunque luogo di culto (XXII:39,40). Un segno evidente che il pluralismo religioso istituito anche nel Corano non si ferma alla semplice tolleranza o rispetto, ma si erge a proteggere qualunque sacralità.
Tariq, sempre aderente alle parole di Maometto, parla anche della violenza: nel Corano non c’è nessuna sura che giustifichi la violenza nei confronti del prossimo, tanto meno nei confronti di altre religioni, ugualmente rispettabili. Gli unici riferimenti testuali alla violenza coincidono al periodo storico durante il quale Maometto e la sua comunità erano da tempo assediati a Medina: il richiamo alla violenza – continua l’Imam – aveva un significato difensivo nei confronti di ripetuti attacchi. La snaturalizzazione del testo con cui oggi si inneggia alla violenza è del tutto estranea all’autentico messaggio del Profeta.
Infine l’Imam ci parla delle donne: vengono definite “intoccabili” perché sacre e l’utilizzo (ma non l’obbligo) del velo serve per conservare e innalzare la loro sacralità. Tuttavia, la domanda sorge spontanea: troppo spesso sentiamo di ragazze che non accettano il velo e per questo subiscono violenze. Come viene considerata una donna che sceglie di non coprirsi il capo? Tariq spiega che non esiste nessun riferimento del Corano all’obbligo di indossare il velo: ancora una deviazione, ancora uno snaturamento perverso del testo, ancora oggi tante donne che ne pagano le drammatiche conseguenze.
Luca Cantoni, 5 A