Il rapporto tra reale e virtuale? Ce ne parla Calvino, in un famoso racconto, L’avventura di un fotografo. Un certo Antonino Paraggi, un nome un programma, ha la mente del filosofo – non ci può fare nulla – e lui, in ogni questione, deve andarci fino in fondo. E non riesce a spiegarsi la maniacale passione (o forse ossessione) che coglie i suoi amici, loro sposati lui scapolo: fotografare non ogni momento della loro giornata, ma scegliere quale di questi frammenti deputare al tempio del ricordo, della memore consapevolezza del futuro nei riguardi di ciò che è già stato e che mai sarà più se non in quelle fotografie, se non in virtù di esse.
Il problema risiede proprio nel mezzo che frapponiamo tra noi e il mondo: è proprio la fotografia stampata (all’epoca di Calvino, ovvero cinquant’anni fa), è la foto profilo di un social. Sono loro, le foto, scrive Calvino, ad insinuarsi tra le pieghe della realtà e ad impedirci di vivere per la realtà, ma in virtù della foto da scattare: «basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito» (“L’avventura di un fotografo”, Gli amori difficili). Proprio di questo si tratta: qual è il rapporto che si inserisce tra noi, la realtà e le immagini che di essa ci restano? Forse per questa ansia del ricordo, questa premura di immortalare l’occasione, temiamo esattamente quello che Calvino prevedeva qualche decennio fa.
Sull’autobus, in treno, a scuola, al mare, montagna, scii, ciabatte, costume, braghette; mentre mangiamo, passeggiamo, baciamo, abbracciamo, posiamo, guardiamo, salutiamo…
Temiamo forse di non vivere abbastanza il presente e questa inquietudine ci porta paradossalmente a compiere ciò che cerchiamo di evitare: fotografiamo, fotografiamo, e ci restano solo le immagini, non altro. Non l’esperienza in sé, ma l’esperienza in virtù della sua rappresentazione.
Luca Cantoni 4 A
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