DONNE CHE GRIDANO AL LUPO

 

Mia madre aveva ventisei anni quando fu vittima di stalking per la prima volta. Non che sia un vanto, ma in qualche modo nella mia famiglia c’è una lunga lista di nomi femminili che può raccontare di aver vissuto la stessa cosa; oltre a me, disgraziatamente, anche mia nonna, quando ancora il fenomeno non aveva preso un nome ben preciso, solo identificato con “c’è un porco che mi sta aspettando sotto casa”, o qualcosa di simile.
Siamo tutte cresciute in un paese in cui ci si conosce bene o male tutti, uno di quelli che fornisce più volentieri agli extracomunitari viveri e appartamenti comunali, e quei “poveretti” hanno con il tempo, per invidia o per puro razzismo preso il ruolo di capro espiatorio.
Era un amico di un suo ex fidanzato. In qualche modo, quello squilibrato sapeva esattamente dove fosse diretta o dove mio padre l’avrebbe portata a cena un sabato sera come gli altri. Mi raccontò di una volta che durante una festa, alcuni suoi amici erano usciti a fumare ed erano rientrati subito dopo riferendole che il solito tale la stava aspettando fuori, e nonostante la presenza di mio padre (alto ben una spanna in meno di quel pazzo), l’aveva perseguitata per più di un anno e mezzo.
A lungo andare, cosa poteva mai fare mia madre se non rivolgersi a coloro che hanno il compito di proteggere chiunque sia in pericolo, proprio come i supereroi? L’unica differenza era che le forze con le quali erano costretti a confrontarsi erano senza dubbio più terribili, come la follia umana. Non esiste niente di più spaventoso di un uomo e dei suoi ormoni, che un giorno si sono svegliati e hanno deciso che la vita sarebbe stata infinitamente più divertente se avessero cominciato a perseguitare una donna che ancora del mondo non aveva esperienza.

Mia madre si era rivolta allora alla polizia, senza ricevere altro che un “c’è bisogno di prove” per incriminarlo.
Non poteva bastare l’espressione maniacale che quell’uomo aveva impressa sul volto? Perché mai le leggi che tutelano gli stranieri e gli stalker astuti, nulla potevano per tutelare una povera donna come mia madre? Volevano la foto del cadavere di quella donna, magari la stessa che poche settimane prima aveva implorato aiuto alla Questura e ne aveva ricevuto un rifiuto?
La vicenda si risolse grazie all’intervento di un vero supereroe, un carabiniere che all’ennesimo tentativo riuscì a trovare lo stalker e a fargli una lavata di testa, tanto che smise gradualmente di tormentare mia mamma.

Così come lo stalking non è terminato con questa mia vicenda personale, così non comincia con gli extracomunitari. Ventitre anni fa il mio paese non pullulava ancora di stranieri (anzi, mia madre stessa mi ha raccontato di quando a quattrodici anni andò in Inghilterra e rimase a bocca aperta di fronte ad un uomo di colore visto dal vivo), eppure queste cose accadevano comunque. È successo a Colonia, succede ogni giorno, e sono centinaia ogni anno i femminicidi. Anche nel 2015 il 68% circa dei femminicidi avviene all’interno del contesto famigliare; ma il restante 32% succede durante la vita di tutti i giorni: tu, ragazza o donna, esattamente come me, esci di casa e non sai se tornerai.

Questo afferma anche Giulia Blasi (http://www.giuliablasi.it/fatti-di-colonia-islam-immigrazione/) nel suo blog: “Smettiamo di sentirci superiori. Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qui: fra il nostro mondo e il loro mondo c’è solo la fragile barriera di una legge che in un attimo può essere cancellata, perché in fondo si pensa che la libertà delle donne sia già troppa.”
Lo Stato è spesso cieco, e ignoranti sono coloro che ancora credono che sia tutta colpa degli extracomunitari.

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