Recentemente, presso l’Aula Magna dell’Itis Leonardo Da Vinci di Parma, è andato in scena per i ragazzi del Bertolucci “Padroni delle nostre vite”, uno spettacolo “agghiacciante”, come lo ha definito la grande regista Lina Wertmuller. Agghiacciante come la realtà mafiosa e la condizione di un testimone di giustizia costretto a perdere la sua libertà, prima per mano della ‘ndrangheta e poi dello Stato. Uno Stato impreparato, incapace di gestire la situazione drammatica di chi decide di opporsi, di chi non vuole che siano gli altri a decidere della sua vita. L’attore protagonista, Ture Magro, impersona la figura di Pino Masciari, un imprenditore calabrese in lotta contro la criminalità organizzata, un uomo coraggioso che sceglie di denunciare, di alzare la testa. Dopo essere stato minacciato ripetutamente dalla ‘ndrangheta, Masciari entra a far parte del programma speciale di protezione riservato ai testimoni di giustizia. Costretto a nascondersi e a fuggire dalla propria terra, a vivere per anni spostato da una città all’altra, riesce a far arrestare decine di mafiosi e alcuni “burattinai” nascosti tra gli esponenti della politica italiana; perché il marcio si nasconde lì, ai livelli più alti. Attraverso un monologo fatto di riflessioni, intervallato da dialoghi serrati con personaggi virtuali e con una coscienza inquieta, Ture Magro ci restituisce l’immagine di un uomo travolto da una realtà più grande di lui. Lo spettacolo è coinvolgente grazie all’utilizzo del digitale, di effetti sonori molto realistici che vanno a sottolineare e aumentare la drammaticità crescente del tema affrontato. L’attore guarda il suo pubblico negli occhi, si sposta sicuro sul palco, alzando il tono di voce in un’ escalation di rabbia e frustrazione. Il suo grido di dolore è anche quello della sua terra ferita, violentata, schiacciata dal peso della realtà mafiosa. Nello spettacolo però si intravede anche una nota di speranza, di chi è consapevole di quanto spesso si sia combattuto male, ma altrettanto conscio della propria forza, del fatto che la mafia “uccide”, ma il silenzio di più. Gli interrogativi che il protagonista si pone sul perché chi decide di fare la cosa giusta debba subire questa condizione di esilio forzato sono gli stessi che si pone il pubblico, coinvolto totalmente nella rappresentazione. Lo spettatore finisce con il provare quasi fisicamente l’angoscia di questo padre di famiglia dilaniato dal dubbio che le sue decisioni possano ripercuotersi sulla sua famiglia. La sensazione del pericolo che incombe su di loro è reale. Il senso di colpa per non aver saputo dare ai suoi cari quella vita normale che avrebbe voluto è soffocante. Masciari però è consapevole di aver sacrificato il suo presente per un futuro migliore. Questo spettacolo incentrato sulla sua vita in un certo senso gliel’ha salvata e allungata, perché ogni replica è un passo in più, una vittoria in più nella lotta contro la mafia.
GIAN MARCO ZAMBERNARDI 2A